La Cina nella nuova situazione internazionale

Il ritorno di Trump alla Casa Bianca ha avuto l'effetto, fra i tanti, di ridefinire i rapporti con la Cina. Le conseguenze saranno di grande portata, e per ora possiamo solo vederne alcune

Questo articolo è uscito originariamente nella rivista Il Mulino. Qui è riportato parzialmente. Per leggerlo nella versione integrale, clicca qui.

 

Donald Trump ha raddoppiato le tariffe sui prodotti cinesi importati negli Stati Uniti al 20% (dal 10%), giustificando formalmente tale inasprimento come risposta a quella che gli Stati Uniti considerano l’inazione cinese nei confronti dei flussi di precursori chimici coltivati in Cina e poi inviate in Messico (e secondo gli Stati Uniti anche in Canada) per produrre la droga Fentanyl che, esportata poi in America, sta provocando milioni di morti. In realtà il presidente appena eletto ha rilanciato una guerra commerciale contro la Cina che aveva cominciato con il suo primo mandato presidenziale e che, peraltro, il suo predecessore Biden non aveva mai interrotto.

 

La Cina per ora ha reagito imponendo tariffe del 15% sulle importazioni di prodotti agricoli americani e impedendo a imprese americane di acquistare dalla Cina prodotti particolari, come metalli rari (della produzione e raffinazione del quali la Cina ha una sorta di monopolio) per uso civile e soprattutto militare, senza una specifica autorizzazione. Ma sembra evidente che la prospettiva nella quale la leadership cinese si muove è quella di non lasciarsi intrappolare nella accentuazione di una guerra commerciale e di puntare invece sui problemi da risolvere per sostenere la crescita economica, affrontando al tempo stesso nuovi e inattesi problemi sociali, e così rafforzare il proprio ruolo geoeconomico e geopolitico, in un momento nel quale il presidente Trump sta esercitando una imprevista pressione sui tradizionali alleati degli Stati Uniti.

La leadership cinese sa benissimo che la politica di aumento delle tariffe scelta da Trump creerà problemi all’economia americana, almeno nel breve termine

Ignazio Musu - autore dell'articolo originale

La linea strategica emersa al Congresso nazionale del Popolo era già stata sottolineata il mese scorso dallo stesso presidente Xi Jinping in un incontro con i dirigenti delle grandi imprese tecnologiche cinesi – compreso Jack Ma di Alibaba, che sembrava essere stato emarginato – per rilanciare la fiducia e l’assistenza del governo nelle imprese, soprattutto nel campo delle nuove tecnologie. Vi è però nella leadership cinese la consapevolezza dei punti deboli che il Paese asiatico ha tuttora nel campo delle tecnologie digitali e delle applicazioni dell’intelligenza artificiale, il principale dei quali è costituito dalla necessità di importazione dei semiconduttori avanzati nei circuiti integrati; la Cina è infatti il più grande utilizzatore di semiconduttori al mondo, ma ne produce solo un decimo di quanti le sono necessari e non dei più avanzati.

 

Gli sforzi del governo cinese nel sostenere le innovazioni nel settore dei semiconduttori continuano a essere enormi; e cominciano a vedersi i primi risultati, come il nuovo smartphone Mate 70 lanciato da Huawei, che però ha ancora il problema della non compatibilità con il sistema Android, e soprattutto l’ultimo linguaggio di Intelligenza artificiale, Deepseek, in grado di sfidare, soprattutto per i più bassi costi di produzione, quelli americani. La leadership cinese è però anche consapevole che la Cina deve affrontare problemi strutturali non ancora risolti che riguardano non solo l’economia, ma anche la società nel suo complesso.

 

[…] L’insufficienza di nuove nascite avrà un impatto negativo sulla futura offerta di lavoro e sul sostegno della parte anziana della popolazione; nel 2050 oltre un terzo della popolazione avrà più di sessant’anni, con l’effetto negativo in termini di una più elevata pressione fiscale necessaria per sostenere le pensioni e la sanità.