VENTOTENE E L'EUROPEISMO DI MELONI

Giorgia Meloni ha espresso la sua visione di Europa usando come metro di paragone un testo che, seppur fondativo dell’Ue, è da storicizzare e da collocare come prodromo di sviluppi futuri

Questo articolo è uscito originariamente nella rivista Il Mulino. Qui è riportato parzialmente. Per leggerlo nella versione integrale, clicca qui.

 

La bagarre suscitata dall’improvvida uscita di Giorgia Meloni a proposito del Manifesto di Ventotene merita qualche riflessione pacata, distanziandoci dalle polemiche d’occasione. Si può partire dal notare che tutto genera da un revival disinvolto del costume di zuffe retoriche nei dibattiti parlamentari: una tradizione più che consolidata, in Italia e non solo.

 

La dinamica di quanto è accaduto è più che semplice da decifrare. Sebbene si dovesse discutere della posizione che la presidente del Consiglio avrebbe dovuto sostenere nel vertice europeo di giovedì 20 marzo, Giorgia Meloni ha voluto usare l’occasione per inserire nel discorso la proclamazione di una sua visione generale di quel che dovrebbe essere la Ue. Lo ha fatto per porsi in contrapposizione con la grande manifestazione di piazza del Popolo a Roma, promossa genericamente in favore di una visione dell’Europa ad opera di un largo raggruppamento di componenti intellettuali, politiche e sociali contrarie al suo governo. Per unificare sentimenti più che contrastanti e diversificati (talora in netto dissenso), i promotori di quel raduno hanno distribuito come totem il cosiddetto Manifesto di Ventotene, un documento scritto nel 1941 da tre antifascisti confinati, dopo lunghi anni di carcere, nell’isola pontina: Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni. Prendendo a pretesto alcuni passaggi di quel testo, Meloni ha inteso affermare in contrapposizione alle opposizioni che la sua idea di Europa non solo era un’altra, ma respingeva quella rappresentata nel Manifesto, che decideva essere quella dei convenuti a piazza del Popolo (un subliminale appello identitario a una sua maggioranza, peraltro non silenziosa).

 

La scelta della premier è stata doppiamente infelice: da un lato perché ha svolto il suo intervento con una foga tribunizia che, al di là di quanto fosse inopportuna nel contesto delle comunicazioni del governo, era destinata per forza di cose a eccitare risposte e manifestazioni con i medesimi toni; dal lato opposto perché ha presunto in maniera infondata che il contenuto del Manifesto, quasi fosse una piccola Bibbia, corrispondesse davvero al credo della piazza, mentre era con tutta evidenza l’esibizione di una generica invocazione di fede europeista. […]

Il testo in questione, come hanno già notato tutti gli osservatori non ottusamente partigiani, è ovviamente datato (come lo è qualsiasi testo storico) e solo collocandolo nel contesto del suo tempo si comprendono i significati dei vari passaggi

Altiero Spinelli

[…] Gli autori, come la gran parte degli intellettuali progressisti della loro generazione, avevano davanti agli occhi il grande consenso popolare che aveva arriso ai dittatori. Mussolini e Hitler erano arrivati al potere vincendo le elezioni, sia pure con violenze e manipolazioni, ma poi avevano goduto del grande fenomeno del consenso di massa (e qualcosa del genere si poteva dire anche per Stalin). Per questo esistevano riserve non piccole sulla validità del costituzionalismo liberale “borghese” incapace di contrastare le dittature e si puntava a creare un altro tipo di democrazia.


[…] Un secondo aspetto su cui la destra ha polemizzato e a cui la sinistra ha risposto malamente è la questione del presunto ripudio del dogma della tutela della proprietà privata. Nel testo, l’hanno rilevato in molti, si parla di togliere il carattere assoluto e non regolabile della proprietà privata.


[…] Senza leggere il testo di Ventotene in una prospettiva che contemporaneamente lo storicizzi, relativizzando alcune espressioni, e lo collochi come prodromo di futuri sviluppi che hanno avuto corso sia pure, come sempre accade, non piattamente nei termini in cui si poteva ragionare ai tempi della sua elaborazione non si fa cultura politica, ma solo becera propaganda demagogica.